|
Home » TorinoLiberty
Il Liberty In Italia
Innanzitutto il nome: da dove viene "Liberty"? |
immagini tratte dal catalogo della ditta Liberty & Co, 1905
da V. Arwas, The Liberty Style, London 1979
(modello Amelia)
|
Il nome italiano del movimento, noto
in genere come Art Nouveau, Modern Style o Jugendstil, si fa generalmente
derivare dal nome della ditta inglese Liberty & Co. Ltd., di proprietà
di Sir Arthur Lasenby Liberty, che aveva un importante negozio in Regent
Street a Londra alla fine del secolo XIX. Questo negozio, specializzato
in abiti, stoffe e parati, fu uno dei maggiori centri di diffusione del
nuovo stile. |
(modello Jaqueline)
|
il negozio Liberty & Co. in Regent Street: Luglio 1999, saldi!!
|
Curiosamente, anche il nome di Art Nouveau, più esatto,
deriva dal nome di un altro negozio aperto a Parigi nel Dicembre 1895
dall'industriale amburghese Siegfrid Bing, che presentava oggetti d'arredamento,
mobili, carte da parati e oggetti d'arte.
|
Il movimento modernista, partito da
paesi culturalmente più dinamici del nostro, giunse in Italia con un modesto
ritardo di una manciata d'anni, partendo soprattutto dalle arti minori
e decorative, quali l'arredamento di interni e la grafica.
Questo fu, per tutto il tempo della
sua effimera esistenza, il grosso peso con cui dovette convivere il movimento
in Italia, I critici continuavano a vedere il movimento come un episodio
secondario, di facciata, che riguardando la sola decorazione non poteva
assurgere allo status di stile.
Per dirla con le parole di Arrigo Boito, ferocemente
critico, c'è ornamentazione floreale, non c'è architettura floreale, ma
dato che non troviamo stile decorativo senza uno stile architettonico,
se ne deduce che non esiste uno stile floreale.
Il movimento noto come Liberty dunque,
partendo da una vocazione prettamente decorativa, aspirava ad abbracciare
tutta la procedura di creazione fino ad investire la cosiddetta arte seria,
in special modo la progettazione architettonica, campo questo che sembrava
particolarmente proficuo per indagare sia gli aspetti strutturali che
estetici, secondo un approccio che è alla base del movimento Art Nouveau.
Nel nostro paese questo è ancora vista
come una aspirazione dissacrante, non si riesce a recepire, nelle aule
delle accademie, ciò che all'estero era già acquisito, e che cioè che
la progettazione è globale e unisce inscindibilmente sia ciò che appaga
l'occhio (la decorazione) sia ciò che è funzionale all'opera (la struttura).
In quest'ottica risulta evidente la
forte carica rivoluzionaria e provocatoria dell'
Esposizione di Torino del 1902, il cui programma dichiarava apertamente
la vocazione a una ricercare di una dimensione unitaria e totalizzante
nella creazione artistica.
Un'altra grave tara con cui convisse
il Liberty fu la pratica, auspicata e diffusa, dell'autarchia artistica,
dell'indipendenza della tradizione italiana dagli influssi stranieri,
spesso visti come alieni e, supponiamo, barbari. Anche se i movimenti
modernisti europei si erano appoggiati a tradizioni locali, rielaborandole,
in Italia questa pratica assunse una portata morbosa, che spesso ancorava
i progettisti a tematiche classicheggianti o neo-medievaliste.
vNaturalmente, oltre all'impostazione
generale che assunse il movimento, importanti risultarono soprattutto
i singoli artisti. È curioso notare che a Torino ci fu una prevalenza
di ingegneri, causato forse dalla presenza in città della più prestigiosa
istituzione politecnica del nostro paese.
Proprio la perizia tecnica, come ogni
ingegnere avrebbe potuto confermare, era spesso vista come un demerito,
in quanto, per dirla con D'Aronco che non vedeva
di buon occhio gli ingegneri, all'architetto, per creare, serve solo uno
spirito artistico.
Questo è uno dei tanti sintomi di un
modo di pensare diffuso, ma anche di un modo di organizzare le carriere,
che vede contrapposti per lungo tempo gli artisti e i tecnici, i diplomati
nelle accademie e coloro che seguono corsi di studi più tecnici, coloro
che si allacciano alla tradizione alta, colta, per un'edilizia monumentale
e coloro che producono edilizia di consumo, utile.
Solo dopo numerose leggi e diatribe
si arriverà in Italia a una soluzione simile all'attuale, per cui nel
curriculum di un architetto convivono studi accademici, artistici e tecnici.
Buffo pensare che questa era proprio la distanza che l'Art Nouveau cercava
di colmare, a dimostrazione di come, anche in una personalità di spicco
del movimento come D'Aronco,
questi pregiudizi fossero ben radicati.
Nel nostro paese si fece difficoltà
a dare dignità ai nuovi materiali costruttivi, a partire dal ferro-vetro
e dalla ghisa per arrivare al cemento armato. La critica infatti vedeva
questi strumenti di costruzione solo come, appunto, nuovi strumenti e
non come apportatori di una libertà costruttiva e di disegno difficilmente
raggiunta in passato, dunque alfieri di una novità strutturale.
Anche gli architetti nostrani spesso
provavano pudore per questi nuovi materiali e, soprattutto col cemento
armato, non è raro, anche non in edifici di prestigio, vedere mascherati
gli elementi costruttivi. Per questo le costruzioni con cemento armato
a vista sono sempre additate con particolare enfasi (si veda casa Marangoni in via Nizza ).
Analizzando la tipologia degli edifici
che vennero costruiti secondo il nuovo stile, ci si può rendere conto
meglio di come si collocava il Liberty nel panorama culturale italiano.
Pochissimi sono gli edifici della grande
committenza pubblica (i ministeri), pochissimi i monumenti, anche se gli
architetti spesso parteciparono a concorsi relativi a imponenti opere
pubbliche.
Il discorso migliora se guardiamo alla
pubblica amministrazione locale, per cui troviamo uffici pubblici, scuole
e bagni pubblici, in cui, anche se l'adesione allo stile è spesso solo
di facciata, è evidente l'intento, se volgiamo deamicisiano, o meglio
giolittiano, di dare dignità a luoghi di uso popolare destinati altrimenti
a rimanere anonimi e squallidi.
Di contro sono pochissime le chiese
(si veda Via Paisiello (LINK), forse lo stile era troppo frivolo?) mentre
importante è l'impronta lasciata nei cimiteri, più luogo privato di culto
dei morti che luogo religioso pubblico.
Molte furono le adesioni di enti, società,
cooperative mentre, pur con le dovute eccezioni di Torino (vedi Fiat) e Milano, mancarono grossi lavori per l'industria
e degli affari (banche ad esempio), anche qui, forse la serietà del luogo
mal si sarebbe sposata, nella mente degli amministratori, con la leggerezza
dell'architettura floreale.
La gran parte degli edifici liberty
ebbe comunque una commitenza privata: artigiani, imprenditori, professionisti
che, soprattutto nelle regioni ad avanzato sviluppo industriale, esponenti
di una borghesia benestante e ricettiva nei confronti del nuovo, seppero
dare fiducia a giovani architetti nella costruzione delle proprie abitazioni
e degli ambienti del proprio commercio.
Anche i capimastri e i proprietari di
terreni edificabili, (ricordiamo che siamo in un'epoca di forse espansione,
soprattutto nelle città del Nord) videro nel Liberty un modo di qualificare
i propri investimenti. Ecco dunque moltiplicarsi le case da pigione di
tutti i livelli in cui l'adesione al nuovo stile è spesso solo a livello
decorativo, sovente di routine, e sempre rivolta alle soluzioni esterne
e mai alle innovazioni interne, alla pianta e alla distribuzione degli
ambienti.
Infine, secondo una tradizione ampiamente
diffusa a livello europeo, importanti risultano le case costruite dagli
architetti per sè e per i propri familiari, veri e propri manifesti dello
stile e della personale interpretazione del movimento da parte dell'autore(vedi
casa Fenoglio-La Fleur).
Dalla tipologia degli interventi si
può capire che mancò, nel nostro paese, la piena comprensione del carattere
totalizzante che aveva il movimento modernista, che voleva investire tutto,
dal candelabro fino al grande edificio pubblico, e aveva quindi anche
carattere di proposta unitaria di arredo urbano. Per questo, per la mancanza
di un interesse organico da parte dell'amministrazione cittadina, mancò
un intervento globale sulla città. Il liberty, come già detto, si bloccò
a livello di singolo edificio e di sporadici chioschetti, comunque a livello
del privato, intaccando in minima parte il suolo pubblico. Lo Style Metro
di Guimard, che caratterizza ancora oggi molti angoli di Parigi, rimase
inascoltato nella sua valenza di progettazione urbanistica, mentre ebbe
vasto seguito nelle pensiline e tettoie in ferro-vetro.
In un'architettura dove spesso l'adesione
al nuovo stile floreale è limitata agli elementi di facciata, che da soli
tentano di qualificare uno stabile come Liberty o meno, grande importanza
assumono i ferri battuti delle ringhiere, dei balconi, dei cancelli. Normalmente
non è prassi comune che l'architetto disegni i propri ferri, con le dovute
eccezioni (Basile e Sommmaruga in testa). Si fa ricorso in questi casi
ad artigiani qualificati che integrano il proprio lavoro con quello dell'architetto,
non di rado nobilitando facciate altrimenti banali. Il caso più notevole
di questi artigiani/artisti è senza dubbio quello di Mazzucotelli, operante
soprattutto in area milanese, ma con importanti esempi a Torino.
Egli fu uno dei protagonisti dell'Esposizione del
1902.
Il Liberty fu preminentemente un fenomeno
urbano, sviluppatosi soprattutto in aree industrialmente e culturalmente
avanzate, con una articolata committenza sia pubblica ( a livello di amministrazione
locale) che privata. La fortuna del nuovo stile si deve anche alla coincidenza
tra la nascita e la diffusione dello stile e la rapida espansione delle
città. Qui si assiste, soprattutto al nord, alla costruzione di edifici
da pigione nelle aree di nuova costruzione, e ad una timida riappropriazione
del centro storico da parte della ricca borghesia, in seguito alle operazioni
di modifica e di riqualificazione, si veda l'esempio di Torino col taglio della via Diagonale, ora via Pietro Micca.
Negli anni 10 si assiste al lento esaurirsi
e trasformarsi del movimento.
Si ha esaurirsi perchè si rinuncia alle
istanze più progressiste del movimento, cioè quello i costruire un ambiente
dove la bellezza fosse da conciliazione tra le esigenze dell'uomo e le
necessità pratiche della vita moderna.
Trasformarsi perchè emergono le contaminazioni
con stili più disparati, in una unione in cui ognuno guadagna qualcosa.
Il liberty guadagna rispettabilità appoggiandosi al passato, mentre l'edificio
in stile si ammanta di modernità.
L'esperienza secessionista viennese
in questi anni si fa più prominente, innescando quell'evoluzione che porterà
dal Liberty più geometrico all'Art Deco vera e propria. Tra gli aspetti
della scuola viennese che più affascinano i nostri architetti c'è sicuramente
una certa vocazione al gigantismo, al fantastico, all'eccessivo, che spesso,
per mancanza ovvia di spazi enormi si attua nei particolari, enormi bovindi,
facciate sovraccariche.. (si veda V. Ballatrore in cso Fiume e Betta
in via Vico, 2).
|
|
|